Continua la mattanza delle tartarughe. “Non una questione di soldi, ma di mentalità”

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Quinto caso in pochi mesi: chi e perché uccidono?

 

Quinto caso a Barletta di tartaruga Caretta caretta uccisa

Ancora una tartaruga Caretta caretta uccisa nel porto di Barletta, ancora le stesse modalità. In tre mesi, sono state cinque le creature uccise e morte annegate, l’ultima aveva le pinne legate ad un disco del freno di un veicolo. Altre due prima di lei erano state legate alle pinne tra di loro. In questi mesi si è parlato di un generico serial killer, ma i sospetti degli ambientalisti sono soprattutto verso i pescatori, che decidono di punire le tartarughe che restano intrappolate nelle reti. In particolare, le tartarughe che vanno a nutrirsi negli allevamenti di mitilli, rompendone il guscio. Il destino di questa specie protetta, la più diffusa del Mare nostrumè appesa a un filo per diverse questioni che vanno oltre le terribili uccisioni. L’esposto presentato in Procura da Pasquale Salvemini, coordinatore regionale del WWF, nasce da una speranza: aumentare i controlli e la consapevolezza su quanto sta succedendo nelle acque pugliesi.

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Per fortuna, ci sono anche molti piccoli pescatori che soccorrono le Caretta caretta, ma arrivano comunque in situazioni disastrose: lo racconta Giovanni Ricupero, presidente del WWF Brindisi, che (fortunatamente) riporta un solo caso sospetto, quello di una tartaruga che, da perizia medica, pare sia stato colpito da un remo. Per lui, i principali responsabili delle morti delle tartarughe sono anche quelli più impegnati nella loro salvaguardia, visto che la maggior parte dei pescatori della zona, racconta, liberano le tartarughe dalle reti o le portano nel centro di recupero di Torre Guaceto. Dove, tra l’altro, attualmente non ci sono tartarughe. Questo perché, come già detto, il lavoro del WWF Brindisi va avanti anche grazie soprattutto ai pescatori di piccole barche, nulla a che vedere con ciò che succede nelle marinerie dove si effettua la pesca con le reti a strascico, in cui restano intrappolate molte più creature. Un tipo di pesca che è protetta da normative europee ma, di fatto, è notevolmente impattante per i fondali.

Quali danni arrecano davvero le tartarughe agli allevatori di cozze?

Francesco Di Lauro è un avvocato esperto di diritto penale ambientale e rappresentante del WWF ITALIA nel processo ‘Ambiente Svenduto’ a carico dei vertici dell’ ex stabilimento Ilva. Tramite la sua associazione “Azzurro Jonio”, offre una ricompensa di 1000 euro a chi consente di individuare con certezza gli esecutori dei delitti, cosa già fatta in passato con tanto di manifesto dell’importo della “taglia”. “L’esperienza di questi anni mi insegna una cosa. La gente onesta, perbene, non è mossa dalla ricompensa. In certi ambienti, invece, può essere un incentivo a parlare”.

“È molto strano che dopo anni e anni di battaglie, quando anche i pescatori fanno quello che possono – portano le tartarughe nei centri, anche se con un’embolia in corso – ci siano ancora pescherie in cui le tartarughe vengono vendute di contrabbando. Le tartarughe vengono uccise a bordo, vengono private del carapace (poi buttato) e raccolgono tutte le parti della tartaruga che possono servire per la consumazione. A Porto Cesareo, 40 anni fa, compravo le tartarughe quando potevano essere vendute legalmente nelle pescherie, a 400 lire al chilo. 500 se pulite e spezzettate. Io le compravo ancora vive e le liberavo in mare”. È solo dal 1981 che le tartarughe non possono essere mangiate, grazie alla Convenzione di Berna. “Sino a quell’anno, le tartarughe erano pesci normali”.

“Legare e appesantire il collo di una tartaruga è il gesto tipico di chi vuole punire le tartarughe. I cozzali, visto che le tartarughe cercano di nutrirsi. Se capitano nelle reti a strascico non danneggiano il raccolto, se ributtate in mare, muoiono per embolia. Ecco perché, secondo il mio modesto parere, si tratta di pescatori di piccole barche o allevatori di cozze. A tal proposito, le tartarughe non mangiano chissà quante cozze, ma rovinano il filo della rete”. Il danno che arrecherebbero le tartarughe agli allevamenti di cozze, dunque, sarebbe minimo: “Parliamo di un euro di danni. Non è una questione di soldi, ma di mentalità. Per me sono pescatori di vecchie generazioni, ma non nel senso di età ma di tradizione. Una sorta di ‘odio’ tramandato, e questo è molto diffuso a Taranto”.

Riguardo all’esposto presentato, Di Lauro non è molto speranzoso sul buon esito dell’operazione, “a meno che non si presentino prove o indizi concreti, così che il magistrato possa procedere d’ufficio”.

A tal proposito, Pasquale Salvemini lancia comunque un segnale positivo: “È vero che non possiamo sperare nei miracoli, soprattutto perché fare i controlli in mare è molto più difficile. Uccidere un tartaruga richiede cinque minuti. Pensate che fortuna beccarli in flagrante, magari in piena notte. I controlli però si stanno facendo. L’importanza è sensibilizzare la gente e le autorità sul problema”.

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