
Sulla modifica alla Legge Europea sul Clima, le considerazioni della Senatrice Patty L’Abbate, membro della 13a commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali)
La legge europea sul clima è una delle misure previste dal Green Deal europeo, la nuova strategia di crescita dell’UE, presentata nel dicembre 2019. Questa strategia è volta a far sì che l’Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. La proposta di regolamento relativa alla legge europea sul clima stabilisce un obiettivo comune giuridicamente vincolante a livello di UE di zero emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050.
La modifica alla legge europea sul clima introduce un obiettivo più ambizioso in termini di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030, rispetto a quanto originariamente previsto: infatti stabilisce nella misura di almeno il 55% l’obiettivo di riduzione dei gas a effetto serra entro il 2030, per giungere all’obiettivo finale di arrivare a zero emissioni entro il 2050. Si tratta di una modifica ad una legge fondamentale per il futuro ambientale del nostro continente che impone ritmi serrati in Europa ma che può diventare un importante modello di sostenibilità anche per le altre nazioni del mondo.
Successivamente dovranno adeguarsi tutti gli altri 27 Stati membri, con leggi territoriali ad hoc, per raggiungere insieme gli obiettivi del 2030 e del 2050, nel rispetto sempre dell’Agenda 2030.
Italia sorvegliata speciale
L’Italia è un sorvegliato speciale. Da sempre vive una dicotomia inconciliabile: promotrice della sostenibilità, con importanti patrimoni naturali dell’UNESCO, ma anche simbolo della cattiva gestione delle risorse naturali e della scarsa tutela e rispetto dell’ambiente, tanto da meritare anche una segnalazione di infrazione dalla Commissione Europea.
Sui tempi politici e parlamentari e sulle azioni amministrative e legislative in atto, abbiamo sentito la senatrice Patty L’Abbate, membro della 13a Commissione permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali), della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, e della Delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea parlamentare dell’Iniziativa Centro Europea.
L’intervista
Senatrice L’Abbate, parliamo di legge europea sul clima: quali le peculiarità?

«Questa legge trasforma l’obiettivo del new deal del 2050 in legge e manda una raccomandazione ai Paesi dell’UE. Tutti gli Stati membri sono chiamati a partecipare a tale sforzo, tenendo conto dei diversi punti di partenza, delle specifiche situazioni nazionali e del potenziale di riduzione delle emissioni dei singoli stati membri. È vero, l’Europa si è posta questo obiettivo ambizioso, ma può raggiungerlo solo con la collaborazione di tutti i Paesi del mondo, altrimenti da soli non riusciremo a raggiungere la neutralità climatica. È importante valutare nello specifico le strategie di adattamento alla situazione attuale prendendo contromisure appropriate. Oggi dobbiamo evitare che aumentino le emissioni di CO2, metano e tutti i componenti dei gas effetto serra. Ciò che è necessario, a mio parere, è un monitoraggio quinquennale per valutare se le azioni poste abbiano portato ai risultati prefissati. L’obiettivo del 55% di emissioni è un punto che stiamo discutendo anche noi in Senato e in Commissione Ambiente e si riferisce ai livelli del 1990 che dobbiamo raggiungere entro il 2030. Dobbiamo anche discutere delle emissioni transfrontaliere».
L’Abbate: “Agire anche su informazione e formazione”
Come si pone l’Italia nei confronti di questa legge e come pensa, nel caso, di migliorare, a livello locale?
«Stiamo discutendo questi giorni in Senato alcune osservazioni, per effettuare un controllo sulle azioni che devono essere fatte. Le nostre sono delle raccomandazioni. Stiamo provando anche ad inserire delle specifiche particolari. In Italia il Ministero dell’Ambiente e quello dello Sviluppo Economico stanno agendo sulla riduzione delle emissioni nocive (non dimentichiamoci che l’Italia ha un procedimento di infrazione in corso), attraverso lo studio e l’applicazione di una mobilità sostenibile. Se le emissioni si riducono a livello locale, ovviamente diminuiranno a livello globale. Poi, quando raggiungeremo la neutralità climatica, bisognerà trovare delle soluzioni affinché questa venga mantenuta».
Ma l’Italia è pronta alla sostenibilità?
«Si sta attrezzando. Al MISE ci sono una serie di progetti all’interno del Programma del Piano di Ripresa e Resilienza. Ci sono incentivi per transizione 4.0, per economia circolare, per trasporto e mobilità sostenibile, mobilità sostenibile, ci sono una serie di azioni che devono essere effettuate e bisogna rispettare una tempistica. Ci sono programmazioni da fare da qui a 5 anni, così per dare la possibilità alle piccole e medie imprese di trasformarsi con innovazioni che possano diminuire gli impatti sull’ambiente. Bisogna agire anche sulla formazione e informazione, così come sta facendo il Ministero dell’Ambiente nelle scuole con il pacchetto sull’educazione ambientale. Anche nel Recovery Fund in arrivo, ci sono azioni ad ampio spettro che vanno realizzate con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder del settore. Un programma di formazione, quindi, che coinvolga i cittadini, la ricerca e le aziende. Bisogna creare una forma di riconoscimento evidente e immediato che faccia capire a chiunque che quel prodotto sia ecosostenibile, anche una nota in un’etichetta. Gli obiettivi finali, ai quali fare riferimento, sono sempre quelli dell’Agenda 2030 sulla Sostenibilità».
“Semplificare e facilitare l’accesso ai risultati della ricerca e agli incentivi”
Senatrice, tramite la ricerca si possono sviluppare nuovi sistemi tecnologici per salvaguardare l’ambiente e ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento. Ma in Italia manca il collegamento naturale tra il mondo della ricerca e il mondo economico e del lavoro. Come mai? Cosa si sta facendo per colmare questo divario?
«Questo è un vecchio problema. Il mondo del lavoro è cambiato. Abbiamo piani di studio obsoleti. Ma ci sono novità: sono partiti programmi di studio che hanno un tipo di approccio multidisciplinare, vicino alle aziende del territorio e alle esigenze territoriali».
All’Università di Bari ci sono ricerche che hanno scoperto come degradare l’amianto, ma rimangono purtroppo confinate in ambito accademico, perché non trovano sbocco nel mondo del lavoro e perché non c’è il collegamento tra ricerca e lavoro…
«Questo è un problema che comprendo benissimo, ma non è di tipo politico. Come può un politico trasformare una ricerca da teorica in ricerca applicata? Si dovrebbe agire sugli incentivi che si devono dare se parte una startup innovativa. A volte questi incentivi ci sono ma a livello territoriale non è chiaro come approcciarsi a questi. Dobbiamo dunque semplificare e rendere di facile accesso tutto quello che viene fatto e tutti gli incentivi che si possono utilizzare».