
“L’inizio della fine della crisi climatica” per Boris Johnson. “Il solito bla bla bla” per gli attivisti. “Una soluzione diplomatica” per il Ministro Cingolani. Di COP 26 resta la delusione per un accordo a metà. India vera protagonista del vertice.
Alla fine è andata come molti temevano e qualcuno sperava. Il documento finale che segna la conclusione di COP 26 è per molti un compromesso e per giunta annacquato, che non risolve la questione fondamentale della transizione dal carbone alle energie verdi, e che non sostiene economicamente, come era nei piani all’inizio del vertice, i paesi più poveri e bisognosi di aiuti per cominciare a uscire dall’emergenza climatica.
Le lacrime di Alok Sharma
L’immagine più significativa della fine dei lavori è quella di un desolato presidente di COP 26, l’inglese Alok Sharma, che quasi in lacrime sigla col tradizionale colpo di martello l’approvazione del documento finale e si scusa per come si è svolto il negoziato. Lacrime più che giustificate, se si pensa che giusto un mese prima, in un discorso all’UNESCO a Parigi aveva detto: «La COP26 non è una vetrina o una salotto da chiacchiera. Deve essere il forum in cui mettiamo il mondo sulla strada giusta per ottenere risultati sul clima. E questo dipende dai leader. Sono i leader che hanno fatto una promessa al mondo in questa grande città (Parigi) sei anni fa. E sono i leader che devono onorarla. La responsabilità è di ogni paese. E tutti dobbiamo fare la nostra parte. Perché sul clima, il mondo avrà successo o fallirà come un tutt’uno».
Quello che l’accordo (non) dice
Quello finale è un documento che mantiene certo l’impegno a non superare il limite i 1,5 gradi di riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali, ma che segna un importantissimo punto a favore dell’India, che alla fine è riuscita a ottenere una correzione di non poco conto nel documento finale facendo sostituire la frase che parla di eliminazione graduale di dipendenza dal carbone con una che propone la riduzione graduale.
India superstar
Il braccio di ferro è stato vinto da un’India che, appunto, ha voluto un accordo meno stringente, ma dove continua l’allarme smog, e si prospetta un nuovo lockdown per abbassare le emissioni di CO2 nell’atmosfera se non riuscirà il piano di emergenza che vedrà la prossima settimana scuole chiuse, cantieri bloccati e smart working nella capitale Nuova Delhi – dove, per inciso la concentrazione di polveri sottili è cinque volte sopra la media. Quella stessa India che è il secondo produttore mondiale di carbone dopo la Cina e che consuma i due terzi del carbone estratto utile a mantenerla la terza economia asiatica. Quella stessa India che a Glasgow, per bocca del suo primo ministro Modi ha fatto capire che per il terzo paese più inquinante del pianeta, la risoluzione dell’emergenza climatica può attendere.
Dove sono finiti i 100 miliardi di aiuti ai paesi più poveri?
Il documento finale non risolve questioni come i sussidi alle fonti fossili e la deforestazione. Non mantiene, inoltre, la promessa fatta di reperire 100 miliardi entro un anno per aiutare i paesi poveri, anche se un suo articolo – voluto dall’Italia – individua una possibile azione del Fondo Monetario Internazionale tra gli erogatori di denaro. Ma ormai si parla di “Patto di Glasgow“, che servirà a tracciare la strada degli impegni futuri, anche dal punto di vista finanziario. Lo stesso il Glasgow Climate Pact istituzionalizza dal 2022 un incontro di annuale per verificare se gli impegni presi dai paesi viaggino di pari passo con le azioni concrete prese da quei paesi stessi. Quello che infatti non è emerso con sufficiente chiarezza è che, malgrado gli sforzi a tenere nei limiti le emissioni di gas serra, queste aumenteranno nel 2030 del 13,7% rispetto al 2010 e l’unica via per restare sotto il fatidico grado e mezzo è tagliare le emissioni non del 45% ma del 60%. Anche in questo caso vale un’immagine, quella del segretario generale dell’ONU Gutierrez che riconosce i passi avanti fatti da COP 26 ma definisce il documento finale “Pieno di contraddizioni”.
E, ovviamente, ancora più duro il commento di Greta Thunbergh. ” Bla bla bla. Il vero lavoro continua fuori da queste stanze. Non ci arrenderemo mai”, scrive. E promette battaglia.
Cingolani: “Un risultato di media entità”
«Un risultato di media entità». Così un moderatamente soddisfatto Ministro della transizione energetica Roberto Cingolani definisce ai microfoni di Rai News 24 le conclusioni di COP 26. «L’obiettivo era quello di portare a bordo Cina e India nell’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale nei limiti di 1,5 gradi (che considera «di lievissima entità», n.d.r.). La conclusione del vertice segna un alleggerimento di questa posizione, ma abbiamo ottenuto il risultato di stabilire le regole di trasparenza e di implementazione per quello che faremo nei prossimi anni. Non sono soddisfattissimo ma mi rendo conto che qui non si tratta di tecnica ma di diplomazia». Così come si dice «piuttosto amareggiato», per il mancato accordo sui 100 miliardi di aiuto ai paesi vulnerabili. Insomma, bisogna cedere su qualcosa pur di riuscire a coinvolgerei big dell’inquinamento. Parigi val bene una messa. Anzi, Glasgow val bene una messa.