Capitale italiana della Cultura: Bari e Taranto tra le dieci finaliste

La Puglia è l’unica regione italiana ad avere due candidate in corsa per l’ambito riconoscimento. Entro il 18 gennaio 2021 il MiBACT deciderà la città che rappresenterà la cultura italiana nel 2022. Scartata San Severo: ecco perchè

Bari e Taranto entrano di diritto nella shortlist delle città che parteciperanno alla fase finale della procedura di selezione per designare la Capitale italiana della Cultura 2022. Dovranno vedersela con: Ancona, Cerveteri, L’Aquila, Pieve di Soligo, Procida, Trapani, Verbania e Volterra. I dossier delle due città hanno dunque convinto la Giuria presieduta dal prof. Stefano Baia Curioni, che ha valutato le candidature pervenute da ben 28 città italiane. Tra queste, c’erano anche San Severo e Molfetta.  La Puglia si conferma come una terra che ha voglia di puntare sul proprio patrimonio storico, artistico e culturale.

Bari e il miracolo di San Nicola

Alla fine degli anni ’90, Bari Vecchia era una zona franca. Molti baresi non avevano mai messo piede tra le meravigliose strade medievali, dove il bianco delle case dissolveva tra l’azzurro del cielo e del mare. Oggi, quelle vie per troppo tempo relegate all’oblio sono frequentate da turisti stranieri e italiani. Le donne fanno le orecchiette davanti l’uscio di casa e tante sono le attività commerciali, ma non solo, che hanno conquistato la città vecchia. Un vero miracolo che solo San Nicola poteva fare. Ne sono convinti in molti a Bari. Città di mare e di mercanti, greca e romana, bizantina e longobarda. Qui, la storia ha scritto pagine indelebili che, ancor oggi, si leggono tra le pietre e i volti della gente. Il culto di San Nicola, da secoli, unisce Occidente e Oriente: è una cerniera che tiene legati due mondi che vivono ancor oggi in simbiosi. La città ha un patrimonio storico, culturale e gastronomico che non teme paragoni. La Basilica di San Nicola, la cattedrale di San Sabino, i teatri Petruzzelli, Margherita e Piccinni, il lungomare e i suoi pescatori, la focaccia e i panzerotti, la tiella alla barese e i piatti di mare. Un elenco troppo lungo, per fortuna. In vent’anni la città è diventata un punto di riferimento non solo per la Puglia, ma anche per le regioni limitrofe. Bari merita la vittoria perché ha voluto cambiare in meglio. La città un tempo sede del Catapano imperiale può tornare a rivestire il ruolo che le spetta. Con la benedizione di San Nicola.

Taranto riscopre Taras e la Grecia salentina

Bari, Basilica San Nicola

Una città incomparabile, pittoresca. Antica come poche in Italia. Gli Spartani le diedero il nome di Taras e fu la loro unica colonia nella Magna Grecia. Diciamolo subito: Taranto non è l’ILVA. Le cronache degli ultimi anni hanno relegato la città alle vicende sanitarie, ambientali e giudiziarie dell’acciaieria. La città merita un’altra nomea. Innanzitutto, per rispetto di una storia millenaria ben raccontata nel MArTA – Museo Archeologico Nazionale e nei reperti archeologici disseminati in tutta la città, come i resti il tempio dorico di Poseidone, il più antico della Magna Grecia. Per il suo possente Castello Aragonese e il Ponte Girevole; per la Basilica di San Cataldo e l’Arsenale Marittimo,  uno dei tre ancora attivi della Marina Militare (gli altri sono Augusta e La Spezia). Il Mar Piccolo e il Mar Grande caratterizzano il Golfo di Taranto. I Riti della Settimana Santa, risalenti alla dominazione spagnola nel meridione, sono un unicum eccezionale. Taranto e i tarantini hanno il dovere di sognare. Assieme ai comuni della Grecia salentina, la città può creare una nuova Magna Grecia. E sarebbe degna rappresentante di tutta la Puglia e del meridione intero.

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San Severo: serve una prospettiva concreta

L’importante è partecipare? Non sempre. Non si vince un titolo mondiale di pugilato o una Champions League solo don la fortuna. Servono: programmazione, preparazione e spirito di comunità. Tutto questo, allo stato dell’arte, a San Severo non c’è. Non si può partecipare ad una competizione di tale livello e pregio solo per mero tornaconto politico. Non si può, dall’oggi al domani, pensare di creare un dossier mettendo assieme le idee più disparate senza una prospettiva di lungo termine che ponga le basi, però, su un qualcosa di concreto già avvenuto in passato. San Severo le carte in regola per dire la sua le ha. Città d’arte, del Barocco di scuola napoletana, di Andrea Pazienza, dei Dauni, del primo vino DOC di Puglia, della via Francigena, del culto della Madonna bizantina del Soccorso. I tasselli ci sono, ma il puzzle è lontano dall’essere completato. Non esiste un piano di marketing del territorio e della cultura che ponga delle linee guida strategiche, con obiettivi concreti. Il centro storico è abbandonato da almeno due decenni. L’asfalto ha ricoperto l’antico basolato in pietra, hanno chiuso i negozi, antichi e signorili palazzi nobiliari sono in stato di degrado, la delinquenza la fa da padrone e manca piano turistico ad hoc. Non sono favole, è realtà.

Nel corso degli anni, nessuna amministrazione politica ha pensato di riqualificare il borgo antico. Era più semplice mettere a nuovo, con risultati scadenti, piazze e viali sotto gli occhi di tutti. Non basta una rassegna teatrale o qualche evento museale per arrogarsi il diritto di aver fatto qualcosa. O si trova il coraggio di cambiare, in meglio, oppure si resta nella decadenza, con buona pace di chi vorrebbe che San Severo venisse ricordata per le cose belle, non per la cronaca nera. L’asticella va alzata, non abbassata per saltare agevolmente e darsi una pacca sulle spalle, se va bene. Bisogna favorire politiche di incoming: far tornare chi è andato via e “sfruttare” le conoscenze acquisite. Serve una prospettiva concreta, altrimenti, come cantava Califano (ma prima di lui scriveva Giacomo Leopardi), “tutto il resto è noia”.

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