
Sul delta del Fiume delle Perle un ponte lungo 55 km che strappa scroscianti applausi e feroci critiche. Progetto meraviglioso, ma si può parlare di Bioedilizia?
Bioedilizia o no in Cina? Una terra che ha abituato i propri abitanti e quelli di tutto il mondo a grandi opere architettoniche, fuori dal comune. Per alcuni versi esagerati. Ne è una testimonianza la capitale Pechino, megalopoli che pullula di grattacieli ed edifici dalle imponenti dimensioni. A breve – tra le altre – si aggiungerà una nuova infrastruttura: un Ponte.
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Biedilizia: il Ponte dei record
Non si può assolutamente parlare di un ponte come tutti gli altri e neanche di bioedilizia. Il ponte si distinguerà per essere quello più lungo del mondo.
Sarà lungo circa 55 chilometri, di cui 6,7 chilometri saranno sommersi nell’acqua, e collegherà quelle che sono definite le città sul delta del Fiume delle Perle, vale a dire Hong Kong, Zhuhai e Macao. L’inaugurazione è prevista per il prossimo 1 luglio – anche se c’è chi pensa che la data possa slittare a dicembre – ma se si parla del “ponte dei record” non è una questione meramente di lunghezza.
È un record l’investimento economico, tra i 12 e i 13 miliardi di dollari complessivi, ed è un record l’utilizzo di calcestruzzo, cemento e acciaio (per intenderci, è stato usato il quantitativo di acciaio pari a 60 volte quello della Tour Eiffel). Non proprio i canoni per rientrare nel settore della bioedilizia.
Il perché di una parte del ponte sott’acqua ha una sua logica: su quelle acque transitano ogni giorno migliaia di navi, pertanto si è sentito la necessità di non andare ad intaccare il flusso commerciale e gli spostamenti navali degli esseri umani. Non solo. Sono stati creati degli isolotti artificiali di circa 100 mila metri quadrati per appoggiare alcune delle fondamenta del lungo ponte. Le altre invece sono posizionate direttamente sul fondo marino, creando degli appositi avvallamenti per “ospitare” le basi.
Bioedilizia: tra aspettative e perplessità
Il ponte cinese più lungo del mondo rientra nel grande piano nazionale di urbanizzazione, che è stato redatto nel 2014, con l’obiettivo di rendere il grande Paese asiatico una gigantesca megalopoli, che permetta a sempre più persone di potersi trasferire. Si stima 250 milioni di abitanti nel giro di un decennio.

In mezzo a questa grandiosità urbanistica sono piovuti e piovono ancora oggi molti dubbi. E tante critiche. Su tutte, la perplessità dell’effettiva necessità di una costruzione tanto appariscente. Un messaggio al globo della potenza cinese, un altro emblema di un mondo avveniristico ma – nei fatti – che rischia di rimanere fine a se stesso. Anzi, con conseguenze non da poco sull’ambiente e sulle persone.
Un’opera del genere va chiaramente a modificare il paesaggio a quelle latitudini, determina cambiamenti: come abbiamo detto prima, si va a scavare nei fondali, a creare grosse porzioni di terra artificiali. Ci si interroga sui morti e feriti sul posto di lavoro, lavoratori in nero e condizioni fuori norma. E alle denunce che ne sono conseguite. Ci si interroga sulla spesa che ne è scaturita, probabilmente troppo per un ponte. Ci si interroga – è bene ribadirlo per focalizzare la riflessione – sulla sua funzione.
Un ponte opportuno per le istituzioni, per il commercio, per i collegamenti interurbani, per l’economia.
Insufficiente tuttavia a cancellare altrettanto legittimi punti di domanda.