
L’archistar a Bari per una lectio magistralis al Politecnico spiega il suo modo di concepire e applicare il rapporto tra la città e la natura. E spiega in un incontro con la Consulta all’Ambiente come concretizzerà l’approccio ecosistemico che ha caratterizzato nel mondo la realizzazione dei boschi verticali
Ossessione in senso buono o paranoico? Visione o visionarietà? Verde progettato e pianificato o affidato alle decisioni insondabili della natura? Foresta verticale o orizzontale? Domande che a prima vista sembrano senza senso ma che si ricompongono come in un puzzle articolato il cui soggetto è Bari e cui si è cercato di dare una risposta organica e rassicurante al Politecnico con la Lectio magistralis Green Obsession: visioni di forestazione urbana, a cura dell’architetto Stefano Boeri.
Definire Boeri solo “architetto” è però molto riduttivo: dalla sua, oltre il fatto di essere ordinario di urbanistica al Politecnico di Milano e di aver insegnato nelle università di mezzo mondo, oltre ad essere a capo di prestigiose istituzioni come la Triennale di Milano ed esperto di forestazione urbana, ha il pregio di essere un visionario e di essere riuscito con lo studio di cui è a capo, “Stefano Boeri Architetti” a dar vita ad una serie di progetti che sanno coniugare il rapporto tra “costruito”, natura e uomo, per una migliore qualità della vita.
Le intuizioni di Boeri
Di questo si è parlato in mattinata in una gremitissima aula magna della Domus Sapientiae del dipartimento di Architettura al Politecnico, e nel pomeriggio, in una “coda” riservata alla Consulta per l’Ambiente del Comune di Bari, tra i promotori dell’iniziativa insieme a Politecnico, Comune, Federazione regionale degli architetti e Ordine degli ingegneri della provincia di Bari. Al centro della Lectio magistralis la originale intuizione del Bosco verticale, ossia di una parete costituita di alberi, arbusti ed essenze di vario genere che ricoprono le facciate di alcuni edifici un po’ in tutto il mondo. Tanto interessante, questa intuizione, da essere stata scelta dall’ONU per rappresentare l’11mo tra i 17 obiettivi dello Sviluppo sostenibile, “Città e comunità sostenibili”.
Alla base del lavoro di Boeri c’è una visione della città “in divenire” e sempre più attenta a prendere esempio dalla natura ispirandosi a lei anche nella sua forma fisica. In fondo tutte le città del mondo messe insieme rappresentano solo il 3% del pianeta, mentre le foreste da sole, il 30%. Eppure la città domina la natura, si espande e produce il 75% di Co2 della Terra, con effetti disastrosi sul clima e con un costo sociale quantificabile in crescita della povertà e aumento delle migrazioni dal Sud al Nord del mondo.
Un nuovo umanesimo
Il cambio di ottica per Boeri è stato reso possibile grazie a quelli che lui chiama Enzimi: un vero e proprio pantheon di pensatori provenienti da campi: il filosofo Michel Foucault, l’urbanista/biologo/botanico/antropologo Patrik Geddes, fondatore dei concetti di ecologia come punto di vista sul mondo e della città come organismo vivente; un’inaspettata M.dme de Scudéry con i suoi “paesaggi dei sentimenti”; il botanico Colin Tudge, l’eclettico Joseph Beuys, profeta della forestazione; l’etologa Jane Goodall, che ha raccontato la complessità delle foreste; il professor Richard Weller della Penn University con cui Boeri ha studiato un sistema di corridoi verdi lungo il pianeta; per arrivare a Italo Calvino e al suo Barone rampante, paradigma di uno sguardo attento sul mondo che solo la vita sugli alberi (cioè immersi nella natura) può permettere.
Quegli enzimi hanno permesso di procedere su un approccio “umanistico” e hanno fatto capire a Boeri che il rapporto tra natura e città va invertito e che per innestare la marcia giusta bisogna avere per alleati i boschi e piantare alberi proprio là dove si produce Co2. Quella del verde diventa così una “ossessione” da coltivare, una sfida. Nasce da qui a Milano il primo bosco verticale composto da 2 torri progettato da Boeri studio, iniziato nel 2007 e completato nel 2014 nel cuore del centro direzionale meneghino. Per la prima volta si ragiona inserendo nella progettazione di un edificio parole come microclima, forestazione, biodiversità, e per la prima volta si vedono tutti insieme in un grattacielo oltre 2mila tra alberi e arbusti che oggi ospitano una ventina di specie di volatili e che permettono all’edificio di cambiare aspetto e colori a seconda delle stagioni.
Più alberi in città per combattere la Co2

Certo quello del bosco verticale è un progetto difficile , bisogna prevedere la presenza di alberi fino a 100 metri di altezza, bisogna pensare a come possono influire le radici sulla statica dell’edificio stesso; ma i vantaggi in termini di ombreggiatura, riduzione di calore, connessione con l’ambiente circostante – perché l’intento dei boschi verticali è di inserirli in un contesto di parchi e spazi verdi – hanno la meglio. Tutto questo accade a Milano, un tempo la città dello smog, oggi destinata a diventare col progetto ForestaMi, che prevede la piantumazione di 3 milioni di alberi tra il capoluogo e i 135 comuni che vi hanno aderito – la città più verde d’Italia entro il 2030.
Un progetto alla portata di tutti?
L’altra intuizione di Boeri sta nell’aver capito che un edificio “verde” non va progettato e replicato dovunque, ma deve adattarsi al contesto e al paese in cui viene realizzato, sfruttando le caratteristiche della natura del luogo e guardando alla possibilità che tutti possano fruirne, non solo chi può spendere molto. Perché abitare in un bosco verticale costa, soprattutto per la manutenzione. Con questo spirito nasce il progetto di social housing ad Eindhoven n Olanda, con affitti accessibili anche a studenti e giovani coppie, o il progetto di edilizia sociale a costi molto ridotti (comparato in euro, 500 a mq contro gli iniziali 3mila degli appartamenti a Milano) dell’ Easyhome Vertical Forest City Complex a Huanggang. I costi si possono abbattere intervenendo alla fonte con strutture prefabbricate cui addossare la parete verde, oppure rivolgendosi ai cosiddetti giardinieri volanti, veri e propri acrobati perfetti nell’eseguire la manutenzione degli alberi e molto meno costosi di una gru montata per lo stesso lavoro.
Le pareti verdi per ridurre il consumo di suolo

C’è poi il problema di evitare ulteriore consumo di suolo. A Bruxelles tre edifici storici nel cuore della città vengono così ricoperti da una parete verde unita a quella originaria da logge che così creano nuovi ambienti. Oppure c’è l’esigenza di rendere verdi superfici solitamente abbandonate. Così ad Anversa, sempre in Belgio, a rivestirsi di piante non sono le pareti ma il terrazzo di un edificio alto “solo” 30 metri.
Quale foresta per una città?
Ma un bosco verticale non è una foresta, e un’estensione in orizzontale è incomparabilmente più efficace di una verticale. Così Boeri progetta i piani di riforestazione urbana a Tirana e a Riad in Egitto. Con un’ulteriore riflessione: quella di recuperare acqua anche in contesti dove l’acqua scarseggia, come si sta facendo a Dubai. Per non parlare della “grande muraglia verde” attorno al pianeta progettata insieme a Richard Weller e “sponsorizzata” dall’ONU per collegare 90 città dall’Asia all’Africa centrale entro il 2030 attraverso nuove foreste urbane e foreste naturali. Più visionario di così…
La pandemia Ha infine messo in luce l’esigenza di spazi comuni di socializzazione, quelle che un tempo erano le corti. Ora, anche per questa esigenza la riflessione sul verde portata avanti negli anni da Boeri ha trovato una risposta, e sta negli spazi privati ad uso pubblico che i boschi verticali hanno nella loro struttura. Ed è il caso di Bari.
Il bosco verticale di Bari
Dopo Cà delle Alzaie a Treviso, Bosconavigli a Milano e quasi in contemporanea con Cagliari, sbarca a Bari Verdemare, il progetto di bosco verticale “a corte” con un affaccio sul lungomare di corso Vittorio Veneto e uno su via Napoli. Al centro un parco di 9 ettari (pari quasi agli ettari sviluppati dagli alberi, arbusti ed essenze che abbracceranno il complesso), viabilità pedonale di raccordo col resto della città e tentativo di ricucire il rapporto col mare (che Bari non ha mai saputo esaltare correttamente). I numeri sono i seguenti: oltre 100 alberi piantati e più di 8mila mq di aree verdi a terra; filari di alberi mantenuti e valorizzati; oltre 100 alberi che sviluppano 1000mq di verde pensile; oltre 3000 arbusti e 5mila ricadenti in quota per oltre 60 specie vegetali diverse, per un totale di oltre 23mila kg di Co2 assorbita all’anno e corrispettivo rilascio di ossigeno (per i dettagli del progetto CLICCA QUI).
Le richieste della Consulta Ambiente

Certo le perplessità restano, e di questo si è parlato nell’incontro che Boeri ha tenuto con la Consulta per l’ambiente, che come è prassi a suo tempo aveva espresso, un parere (negativo anche per quanto riguardava il rapporto tra la quantità di verde previsto e le superfici permeabili) e che ha portato alla riformulazione del progetto originario. Nell’incontro le associazioni hanno fatto alcune richieste a Boeri: utilizzare maggiormente essenze tipiche dell’area mediterranea resistenti anche al calore e ai venti che sferzano dal mare; inserire tante piante fiorite, nel rispetto di una tradizione locale che ha fatto in passato dei balconi fioriti il suo biglietto da visita; di lavorare molto sul recupero dell’acqua; collegare con un corridoio verde il vicino sito dell’ex gazometro coll’edificio in questione; evitare di intaccare con eventuali parcheggi interrati la vecchia foce del torrente Picone dove sorgerà Verdemare. Boeri, che in passato ha sempre fatto tesoro delle osservazioni che gli sono stare rivolte, ha promesso che prenderà in considerazione le richieste e che lavorerà ulteriormente sul progetto barese in collaborazione con gli specialisti dei singoli settori, come ad esempio i geologi. Siamo sicuri che manterrà la promessa.