Parte il 24 maggio 2012 l’appello ai soci per il supporto alla ricostruzione. Sono passati soltanto quattro giorni da quella prima scossa che ha travolto l’Emilia e interessato molta parte del nord Italia. Prende subito il via l’iniziativa dell’ANAB – Associazione Nazionale per l’Architettura Bioecologica, per raccogliere volontari disposti a fornire il loro supporto tecnico progettuale – gratuitamente – alle comunità colpite dal sisma. Una mobilitazione che scrive senz’altro una bella pagina di storia italiana, di quell’Italia solidale che fatica a mettersi in mostra. E, accanto all’ampia disponibilità nel raccontare gli eventi, si somma quel velo di pudore, che fa bene incontrare ogni tanto.
«Dalla fine del maggio scorso fino ai primi di agosto sono stati oltre oltre 80 i tecnici volontari ANAB (hanno aderito circa 200 tecnici) giunti da tutta Italia con tutte le spese a loro carico. L’obiettivo era quello di accelerare i sopralluoghi per l’agibilità degli edifici e censire le strutture più o meno a rischio», spiega al telefono il geom. Olver Zaccanti, promotore e coordinatore del progetto ANABSismaEmilia. Un supporto tecnico necessario che si va a sommare anche ad un’altra necessità: una vicinananza morale quantomai richiesta dai cittadini. «Per il cittadino che abita nella cascina in campagna è stato importante sentirsi dire da noi tecnici: “La tua casa è sicura, entriamoci insieme. Qui ci farei dormire senza paura alcuna i miei figli”». Un sostegno a cui accenna anche il Responsabile della comunicazione ANAB, il dott. agr. Paolo M. Callioni: «Prima di tutto sono stati effettuati dei sopralluoghi speditivi tra i comuni di Medolla e Mirandola, al fine di verificare l’effettiva condizione delle strutture. I cittadini che hanno ricevuto i sopralluoghi erano contenti: molti tra gli sfollati si sentono abbandonati dalle istituzioni».
Un’esperienza – quella condotta dall’ANAB fianco a fianco alla popolazione – che ha portato a fermare alcuni cardini per programmare il da farsi. Ultima idea in ordine di tempo è il “Laboratorio di Idee e Architettura per il dopo sisma”: «Un progetto – spiega Zaccanti – sviluppato attraverso 11 proposte concrete da adottare, da tenersi di pari passo sia alla formazione dei tecnici che all’informazione da fornire ai cittadini. Tra i fili conduttori vi è l’idea di ricostruire in chiave bioedile o secondo i principi dell’autocostruzione».
Come mai questo ritorno sempre più ricorrenti a materiali e modi di costruire antichi? «Nel caso del terremoto dell’Emilia – chiarisce il coordinatore – è stato importante capire perchè si è avuta una reazione diversa degli edifici a fronte di uno stesso fenomeno. Occorre guardare alle differenze tra le tecniche costruttive e tra i materiali. E nulla c’è a che fare con la tecnologia o l’età delle strutture: ad esempio molti degli edifici costruiti negli ultimi 10 anni sono andati distrutti mentre tanti tra quelli costruiti prima degli anni ’70 hanno reagito meglio. Senz’altro tra i più stabili vanno segnalati quelli in legno che non solo sono rimasti perfettamente in piedi ma hanno retto assai bene alle sollecitazioni del terremoto».
Quale la linea che l’ANAB consiglia per procedere con la ricostruzione? Buttare giù tutto e ripensare da una nuova edilizia bioecologica? Assolutamente no! «Sia la Regione Emilia Romagna che i referenti delle realtà più colpite dal sisma – tra le quali compare il sindaco di Mirandola – hanno manifestato il comune intento di non procedere con l’edificazione di nuove strutture (magari degradanti per il paesaggio!) ma di privilegiare l’utilizzo del patrimonio immobiliare esistente. Non possiamo immaginare di costruire nuovi quartieri-ghetto senza ripensare all’esistente!», fa sapere Paolo M. Callioni che precisa: «Nella sola Mirandola sono stati censiti circa un migliaio di alloggi inutilizzati sfitti mentre in Italia ne risultano 20milioni. Riconsiderare questa risorsa significa non incrementare il consumo di suolo oltre a riutilizzare un patrimonio già esistente».
Tuttavia è necessario far tesoro delle esperienze – anche drammatiche – del passato. «Se un intervento ci deve essere è importante che non sia fatto con l’impiego di materiali inquinanti– illustra ancora Zaccanti – . E’ importante iniziare a riconsiderare l’utilizzo di materiali da costruzione come il legno e la canapa ma anche la calce, la paglia (presenti in larga misura sul territorio, a “km zero” e a bassissimo costo).
Materiali che diventano utili anche per realizzare strutture abitative nelle situazioni di emergenza, da riutilizzare per il futuro riconvertendole ad altra destinazione o da smaltire senza danno alcuno per l’ambiente, in quanto materia completamente biodegradabile e compostabile». Senza dimenticare di tener presente una visione complessiva del territorio: «E’ necessario ripensare a ricuciture del paesaggio- specifica Callioni – A livello di progettazione urbanistica occorre immaginare delle diverse strategie di intervento apportano, ad esempio, più verde in questi centri con grandi superfici cementificate»
Un ritorno sì alla tradizione entro una visione, tuttavia, abbastanza progressista. La stessa che governa il documento in progress del “Laboratorio”. Dalla nascita di una Banca del Tempo alla creazione del GAS (Gruppo di Acquisto Solidale), per coordinare le aziende impegnate nella bioedilizia ad offire un “Listino speciale” ai terremotati. Altra idea è quella di organizzare dei consorzi per la ricostruzione, al fine di snellire le procedure burocratiche riportandole verso un unico referente e ottenere procedure uniformi per gruppi di edifici affini, con le medesime esigenze. Idee che – sottolineano i nostri interlocutori – non manchino di considerare l’importanza del cittadino, anche in contesti di emergenza, perchè non sia tagliato fuori nel ripensare anche ad una città nuova che, comunque, resti sua.