
La riflessione della 49ma settimana sociale dei cattolici italiani: nuovi semi da piantare e far crescere nell’impegno ambientalistico della Chiesa italiana. Tra le proposte più interessanti, quella delle parrocchie “carbon free”
A Taranto durante la Settimana sociale dei cattolici italiani che si è tenuta dal 21 al 24 ottobre, l’attenzione si è concentrata sulle proposte che hanno come obiettivo un mondo ecologicamente migliore, e non solo per la forte presenza di papa Francesco sul tema o per la location di una Taranto divisa tra il vecchio dualismo lavoro/ambiente. Non a caso lo slogan è stato “Il pianeta che speriamo – Ambiente, lavoro, futuro #tuttoèconnesso”.
Un cammino ormai consolidato
Siamo ormai abituati a confrontarci con la sensibilità ecologica di Papa Francesco e con la sua costante sollecitudine nel proporre itinerari ecclesiali che portino ad una più trasparente comunione con il creato. Conosciamo ormai bene le sue elaborazioni culturali, il fervido confronto con gli esponenti di altre fedi, la capacità propositiva nell’indicare alla responsabilità di tutti i tanti gesti concreti che dicano la cura della casa comune che è il mondo e la speranza di un’ecologia integrale che abbracci i singoli, le comunità, le istituzioni civili, le organizzazioni economiche e politiche che regolano l’agire sociale dei popoli.
Una sorta di file rouge, quello di Bergoglio, che ormai è considerato da credenti e non credenti la cifra distintiva del suo pontificato e che, dopo i terribili giorni della pandemia, pone esigenze sempre più urgenti e acute, poiché è riscontro condiviso che il Covid ha moltiplicato e reso più drammatici l’accesso ai beni della terra, le diseguaglianze sociali, l’erosione del pianeta dovuto allo sfruttamento inconsulto delle risorse disponibili.
La prospettiva glocal
Se il Papa si muove abitualmente sugli scenari della globalizzazione con una visione allo stesso tempo articolata e complessa delle sue interazioni, con altrettanta forza suggerisce alle singole comunità come portare avanti l’impegno ambientalistico a favore dei propri territori, invocando responsabilità, coerenza, concreta capacità innovativa. In questo solco si inserisce la 49ma settimana sociale dei cattolici italiani, conclusasi domenica 24 ottobre a Taranto, luogo simbolo di sofferenza e speranza nel complicato rapporto fra salute e lavoro, economia ed etica, ma anche laboratorio di dialogo fra i diversi attori sociali e la stessa Chiesa locale per una nuova impostazione dello sviluppo territoriale.
Pensare in grande per agire nel piccolo: se questo è lo slogan del glocalismo, vale la pena analizzare come è stato declinato in questo fraterno convenire di tutte le diocesi italiane. La riflessione sul rapporto tra ecologia ed economia, tra ambiente e lavoro, tra crisi ambientale e crisi sociale si è misurata soprattutto con le lacerazioni e le cicatrici della realtà tarantina, paradigma doloroso dell’ormai atavica separazione fra la crisi produttiva e quella socio-ambientale, che continua a produrre fragilità e vulnerabilità individuali, collettive e sistemiche; ma allo stesso tempo si sono voluti cogliere i segnali di speranza, le azioni di cura, l’esercizio di una vigilanza attiva sul territorio che stanno pian piano dimostrando che cambiare rotta è possibile, oltre che doveroso.
La costruzione di comunità energetiche

Le analisi condivise fra i delegati diocesani, sotto la guida competente degli esperti, hanno consentito ancora una volta di mettere a fuoco i nodi da sciogliere, le conflittualità da risolvere, i problemi che gravano sui territori. Ma altrettanto significativa è stata l’attenzione alle persone e alle loro biografie, che richiamano esperienze negative e prassi virtuose; decisivo anche lo spazio di ascolto della voce dei giovani, autori di un Manifesto che offre nuove visioni di futuro e una metodologia del dialogo che consente a tutti l’espressione di una partecipazione viva alla costruzione della città.
Il vescovo di Taranto Monsignor Santoro ha sintetizzato efficacemente alcune priorità per la conversione e la generatività sociale di quanti vivono autenticamente la loro fede cattolica e che impegnano la responsabilità delle parrocchie. La prima è sicuramente la più interessante e audace: la costruzione di comunità energetiche, che il Vescovo definisce una risorsa diffusa per realizzare la transizione ecologica e “un’opportunità di rafforzamento dei legami comunitari che si cementano sempre condividendo scelte concrete in direzione del bene comune”.
La sua non è una visione idealistica, ma realisticamente consapevole che “nell’ottica di una transizione giusta e socialmente sostenibile le comunità energetiche diventano anche uno strumento di creazione di reddito che può sostenere fedeli, parrocchie, case famiglia, comunità famiglia e comunità locali come già dimostrato da alcune buone pratiche realizzate o in via di realizzazione nei territori”. Una proposta, questa, solidamente fondata a livello scientifico: “Sappiamo che abbiamo bisogno di circa 7 gigawatt di nuova produzione da fonti rinnovabili all’anno se vogliamo raggiungere l’obiettivo di emissioni nette zero nel 2050…Se in ciascuna delle 25610 parrocchie del nostro paese si costituisse almeno una comunità energetica che produce al livello massimo possibile di 200 chilowatt (o facesse nascere più comunità che arrivano complessivamente a quella produzione di energia) avremmo dato il nostro contributo con 5,2 gigawatt di nuova produzione da fonti rinnovabili”.
Parrocchie “carbon free” e soggetto di consumo consapevole
La seconda pista di impegno è quella della finanza responsabile, in cui Santoro esprime l’attesa di una Chiesa che non è più spettatrice, ma coprotagonista del cambiamento ambientale. “Le nostre diocesi e parrocchie devono essere ‘carbon free’ nelle loro scelte di gestione del risparmio utilizzando il loro voto col portafoglio per premiare le aziende leader nella capacità di coniugare valore economico, dignità del lavoro e sostenibilità ambientale”. Accanto a questo, l’adozione di un nuovo stile di consumo, ad esempio promuovendo i prodotti “capolarato free” nelle mense gestite da istituzioni cattoliche.

Si comprende bene che non si tratta di piccoli gesti volti a risarcire territori devastati dal profitto senza scrupoli e dal degrado ambientale, ma di un’azione coraggiosa e radicale, che riecheggia un pensiero costante di don Tonino Bello, profeta in terra di Puglia: «Non possiamo limitarci a sperare. Dobbiamo organizzare la speranza!». E per far questo non basta solo provvedere a nuove scelte tecnologiche, ma bisogna mettere mano all’intera trama della convivenza, con particolare attenzione al debito ecologico che gli adulti hanno contratto con le generazioni giovanili, al grido dei poveri e degli emarginati, al valore e alla dignità della persona e della vita. Duro il monito di mons. Santoro che non può lasciare nessuno indifferente, soprattutto se si pensa al lutto vissuto a Taranto da tante famiglie in questi anni: la vita di un bambino vale più di tutto l’acciaio del mondo.