Case spazzate via dalla forza distruttrice dell’acqua, auto accartocciate una sull’altra, tronchi di alberi divelti e spinti a valle da una forza immensa, pietre, il fango che arriva fino ai piani superiori di quei paesini che fino a qualche ora fa sembravano tanti presepi. Ora c’è solo distruzione. Le drammatiche scene viste appena pochi giorni fa nelle Cinque Terre torneranno a colpirci attraverso i notiziari finché la perturbazione che sta attraversando il Nord-ovest del nostro Paese non sarà esaurita. Il problema, però, è proprio questo. Passata una perturbazione, altre ne arriveranno per colpire il territorio con la stessa forza. L’allarme è stato già lanciato più volte e in tempi “non sospetti” da Greenpeace. Gli ambientalisti ritengono, infatti, che eventi atmosferici estremi come quelli di queste settimane saranno purtroppo sempre più frequenti e violenti se non si inverte presto la rotta in materia di emissioni di gas serra. Greenpeace ritiene che Italia la temperatura media sia cresciuta di fino a quattro volte rispetto a quella media registrata nella maggior parte del Pianeta. «Chiamare in causa i cambiamenti climatici, anche in circostanze dolorose come questa di Genova, non significa maledire il cielo – ha dichiarato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace – Ci sono responsabilità che la politica e l’industria, in particolare quella energetica, devono assumersi per garantire un futuro dove a farla da padrone non sia il caos climatico».
Dello stesso parere quanto descritto nell’ultimo rapporto della Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico (Ipcc), secondo cui le calamità più pericolose per l’uomo e l’ambiente da qui alla fine del secolo saranno le ondate di calore, con diversi giorni consecutivi di temperature estive superiori di 9 gradi centigradi rispetto alla media e le piogge violente come quelle che si stanno scatenando sul nostro territorio in questi giorni.
Dura, quindi l’accusa lanciata al governo italiano da Greenpeace, anche in vista della prossima conferenza di Durban, dove si deciderà del futuro del protocollo di Kyoto, latitante – dice Boraschi – anche in sede europea dove l’indifferenza della nostra classe politica a questi problemi è risaputa.