
La solita domanda: si poteva evitare questo disastro?
A poco più di ventiquattr’ore dalla frana che dal monte Epomeo si è scaricata sull’abitato di Casamicciola terme nell’isola di Ischia, con le ricerche ancora in corso che presentano il tragico bilancio di 3 morti, 10 dispersi (tra cui due famiglie con 2 bimbi, e sotto il fango potrebbero esserci altre persone) e 164 sfollati, è pressochè unanime il coro di scienziati, geologi, esperti e gente comune che parla di un disastro annunciato. Non è servito da monito quanto successo nel 2009, un evento identico a quello di ieri per le modalità con cui si è manifestato e che impone di chiedersi cosa non ha funzionato: sono stati lenti i tempi della messa in sicurezza delle aree a rischio? Si è chiuso un occhio, anzi due, sugli edifici abusivi? E’ la burocrazia che ritarda i tempi?
Cosa è successo
Tra la notte e l’alba di ieri su Ischia e in particolare su Casamicciola Terme sono caduti in 6 ore, tra i 120 ed i 155 mm di pioggia, con una potenza tra le 4 e le 5 di mattina di oltre 50 mm all’ora. L’imponente colata rapida di fango si è riversata lungo il versante settentrionale del Monte Epomeo trasportando in massa quantità enormi di terreno e massi anche di 15 tonnellate. La colata di fango e detriti ha invaso la stessa area (Piazza bagni) interessata nel 2009 da un’analoga alluvione. Attualmente i soccorritori sono al lavoro coordinati dalla Protezione civile. Anche Nave Gregoretti è operativa per le ricerche in mare anche con i suoi rhib (Rigid Hull Inflatable Boat), con le motovedette e il personale della Guardia Costiera di Ischia e del 2^ nucleo subacquei di stanza a Napoli.

“Si tratta di frane ad alto potere distruttivo che mobilitano grossi quantitativi di sedimenti – spiega Micla Pennetta, Geomorfologa dell’Università Federico II di Napoli -e detriti che possono anche incanalarsi in incisione preesistenti fluendo ad alta velocità verso valle. La predisposizione del territorio a tale tipo di dissesto è legata alla pendenza del versante ed alla presenza di depositi sciolti a tetto fortemente erodibili; versanti incisi da aste fluviali corte e molto acclivi. In tale contesto geologico e geomorfologico si determinano le condizioni per rischi idrogeologici che determinano alluvionamenti ed invasione di materiale franato dei centri urbani posti alla base dei versanti e della rete di drenaggio delle acque” Da ricordare che nell’ultimo mese, la Campania è stata colpita da tre episodi alluvionali, simili tra loro per tipologia di precipitazioni ed effetti sull’ambiente, e che solo per puro caso non hanno causato vittime.
Questi i fatti. Ma se guardiamo a quanto sta succedendo in Italia, abbiamo la conferma che in Italia gli eventi estremi aumentano di giorno in giorno. Solo in questo 2022 sono stati 130, il valore più alto di questi ultimi 10 anni. Dal 2010 si contano 1.318 tra record di caldo, acquazzoni intensi, grandinate, trombe d’aria e alluvioni in Italia, sempre più frequenti per i cambiamenti climatici. I dati, forniti da SIMA – Società italiana di medicina ambientale – parlano di 516 allagamenti da piogge intense, 367 danni trombe d’aria, 123 esondazioni fluviali, 55 frane da piogge intense.
“I cambiamenti climatici hanno infatti la capacità di influenzare l’intensità e il numero dei fenomeni meteorologici, rendendoli dunque più pericolosi e distruttivi. L’anomala distribuzione delle precipitazioni (in riduzione entro una forbice compresa tra il 10 e il 60%) sta prendendo sempre più la forma di eventi estremi concentrati in autunno-inverno, talora associati ad uragani mediterranei: 60 negli ultimi 40 anni, ma con previsioni di 3 nuovi eventi annui. A causa nostra nubifragi, alluvioni, trombe d’aria e cicloni in futuro saranno più numerosi e distruttivi” – afferma il presidente Sima, Alessandro Miani.
Ancor più esplicito è il geologo Massimiliano Fazzini, climatologo, referente del Team sul Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale, che parla di “crisi antropoclimatica”. «Ormai è un’emergenza assoluta e se da una parte si spera che questo anno sia statisticamente eccezionale in tutte le sue evidenze climatiche, dall’altro non ci si può affidare alla sorte sperando che gli anni a venire non siano caratterizzati da tele estremizzazione dei fenomeni atmosferici. In questo anno horribilis 2022, peraltro come previsto già in estate, il rischio climatico ha continuato ad imperversare sull’intero territorio nazionale. Dopo un inverno eccezionalmente siccitoso, un accenno di riequilibrio termodinamico in primavera, un estata calda quasi come quella del 2003, con un mare termicamente paragonabile e quello tropicale, non poteva che verificarsi un autunno ricco di fenomenologie meteorologiche aventi magnitudo molto elevate ma spesso statisticamente non eccezionali». E conclude: «Urge una politica nazionale immediata di mitigazione del rischio, ricorrendo persino a strategie economiche di emergenza. Le vite umane non hanno prezzo». Anche la SIMA si rivolge al Governo chiedendogli di rimettere al centro del nuovo programma il rispetto degli Accordi di Parigi a cominciare subito dal lancio di una grande e capillare campagna di riforestazione. «L’obiettivo di medio termine dovrebbe essere quello di piantare 350 miliardi di alberi nel mondo per ridurre del 10% la CO2 a livello globale – aggiunge Miani – Occorre poi approvare quanto prima il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) fermo al 2018. Eppure, l’analisi del rischio e le proposte di intervento contenute nel documento sarebbero state di grande aiuto per orientare le politiche nazionali in materia».
Sammartino (SIGEA Campania): “Bisogna limitare il consumo di suolo”
All’influenza del clima si aggiunge la secolare questione della manutenzione del territorio. E diciamo secolare non a caso, dato che cronache storiche risalenti anche al 1910 indicano alluvioni catastrofiche nel territorio ischitano, alla cui prevenzione non si è mai messo mano, lasciando sempre in ombra la valutazione dei rischi, forse più importante di qualsiasi programma. Un più recente studio (2012) ha individuato nell’area tra Casamicciola e Lacco Ameno 15 episodi di crolli storici, di cui l’ultimo proprio nel 2009 con una vittima e 20 feriti. Un campanello d’allarme finora inascoltato sono le 40 vittime causate da luglio ad oggi dal dissesto idrogeologico e i dati del rapporto ISPRA del 2021, che indicano circa il 60% del territorio ed il 30% della popolazione di Casamicciola esposti ad un rischio elevato. «In Italia ancora non si prende coscienza della pericolosità, del rischio idrogeologico specialmente su quel territorio che è stato abusato in passato – sostiene giustamente preoccupato il geologo Gaetano Sammartino, Presidente della SIGEA, sezione Campania -. In Italia c’è necessità anche di un maggior coinvolgimento da parte delle istituzioni perché devono mettere mano alla manutenzione ordinaria, che è la base fondamentale della cura del territorio» E nel concreto spiega:«Periodicamente bisogna controllare tutte le aree di deflusso dell’acqua ma anche gli stessi tombini e fare manutenzione degli alvei. Parlando dell’Italia bisogna limitare il consumo di suolo».
Cosa fare? La risposta del Consiglio nazionale geologi
«I piani per l’Assetto idrogeologico elaborati dalle Autorità di Bacino evidenziano condizioni di fragilità dell’intero territorio nazionale peggiorate da uno sviluppo caotico e da un non corretto uso del territorio stesso: infatti si è costruito molto spesso in posti dove condizioni geologiche e geomorfologiche non lo avrebbero consentito» rileva Lorenzo Benedetto, Presidente Centro Studi del Consiglio Nazionale Geologi. Per questo, dopo le operazioni di soccorso e i primi interventi della Protezione civile per superare l’emergenza e tornare alla vita normale, bisognerà fare le valutazioni delle condizioni di rischio residuo, con sopralluoghi dedicati individuando gli interventi urgenti di riduzione del rischio da realizzare. «Più in generale occorre una strategia integrata di prevenzione e gestione del rischio idrogeologico -afferma Arcangelo Francesco Violo, Presidente CNG . Dobbiamo imparare a convivere con il rischio, il rischio zero non esiste». E questo è possibile, sostengono gli esperti del CNG, attraverso l’attuazione di un piano pluriennale di prevenzione e gestione che preveda sia interventi di tipo strutturale, cioè opere di consolidamento, arginature, briglie, vasche ecc., sia azioni ed interventi non strutturali. Nello specifico:
- Aggiornare i piani per l’assetto idrogeologico e di gestione delle alluvioni perché il territorio è in continua evoluzione, anche a causa dei cambiamenti climatici in atto.
- Adeguare la pianificazione urbanistica comunale, in modo da non continuare a costruire in aree pericolose ed attuare uno sviluppo compatibile e sostenibile con l’assetto geologico del territorio.
- Delocalizzare le strutture dalle aree a rischio. In Campania un importante riferimento è la Legge regionale 13 del 10 agosto 2022, che favorisce ed incentiva la delocalizzazione di edifici posti in aree a rischio di frana e alluvione.
- Attuare i presidi territoriali, a supporto dei sistemi locali di protezione civile, per monitorare l’evoluzione del territorio insieme ai sistemi strumentali di monitoraggio e di allerta.
- Attuare i piani di Protezione Civile, soprattutto nella fase che precede l’evento al fine di ridurre il danno.
- Informare la cittadinanza così da determinare popolazioni più resilienti. I cittadini devono essere messi a conoscenza dei possibili scenari di rischio che si possono verificare durante le emergenze e delle azioni e comportamenti da tenere per evitare di mettere a rischio la propria incolumità e quella degli altri.
- Occorre infine la manutenzione del territorio che deve riguardare non solo fiumi e torrenti ma anche i terreni presenti sui versanti, prevedendo incentivi economici per i privati nella realizzazione di opere di manutenzione e di sistemazione che migliorerebbero le condizioni di stabilità e di assetto del territorio stesso.
(1. Continua)