Alluvione a Bitti. Quale gestione del territorio negli ultimi anni?

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Oggi alle ore 14 summit dei geologi organizzato dall’Ordine dei geologi di Sardegna.  Il climatologo Fazzini: “A Bitti alluvione lampo” . La geologa Cadeddu: “Una situazione di fragilità del territorio già nota”.

«Da una prima ricostruzione degli eventi, si evince che, nel caso dell’alluvione di Bitti, meglio inquadrabile come un alluvione lampo” che ha interessato il centro storico della città, una colata frammista di fango, detriti anche grossolani ed acqua si è attivata dai rilievi immediatamente sovrastanti la cittadina per poi “incanalarsi” in un impluvio estremamente vegetato e di seguito tombinato in prossimità del centro storico. Le piogge sicuramente abbondanti non possono però essere precisamente quantificabili, vista l’assenza nelle immediate vicinanze di qualsiasi sito di rilevamento pluviometrico».  Lo ha affermato Massimiliano Fazzini, geologo, climatologo dell’Università di Camerino e Coordinatore del Gruppo Cambiamenti Climatici della Società Italiana di Geologia Ambientale.

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Fazzini: “Una dinamica meteorologica nota”

«La stazione pluviometrica più vicina, situata a circa 15 km a nord-ovest – quella di Buddusò – Canalei, ha evidenziato cumulate dalla mezzanotte di ieri e sino alle 17 LT di circa 215 mm – continua Fazzini – mentre la stazione di Villagrande di Strisaili, tra le più piovose dell’intera regione ed epicentro dell’alluvione del 18 novembre ubicata sul versante orientale del massiccio del Gennargentu ha totalizzato nello stesso periodo oltre 315 mm di pioggia. La dinamica meteorologica è molto nota e causa di altri eventi alluvionali  che colpiscono sempre più frequentemente i versante orientale dell’Isola: una depressione chiusa centrata ad est delle Isole Baleari ha richiamato aria calda ed instabile da sud est; la componente orografica identificabile – ha proseguito Fazzini –  nei rilievi organizzati dal Gennargentu verso nord e non distanti dal mare hanno favorito l’innalzamento delle appena citate masse d’aria di origine mediterranea provocando precipitazioni abbondanti e reiterate».

Meno pioggia del 2013 ma più danni: perché?

Massimiliano Fazzini
Il prof. Massimiliano Fazzini, coordinatore del gruppo di esperti sul rischio climatico della SIGEA – Società Italiana di Geologia Ambientale

«Occorre però sottolineare che durante la disastrosa alluvione del 18 novembre 2013, le cumulate meteoriche totali erano risultate decisamente e più abbondanti – circa 590 mm di pioggia in 30 ore nella prima citata stazione di Villagrande. Considerando che il centro storico della città non ha subito nell’ultimo decennio alcun cambiamento in estensione, sarà cambiato nel frattempo l’uso del suolo dei versanti sovrastanti l’abitato, sui quali si è sviluppato il nefasto  fenomeno gravitativo di oggi?”.

Cadeddu: “pianificazione geologica inesistente”

«Si stanno toccando con mano gli effetti della fragilità di un territorio mal gestito e governato per quanto riguarda l’assetto idrogeologico. Complessivamente l’occupazione di suolo – ha affermato la geologa sarda Laura Cadeddu referente della Società Italiana di Geologia Ambientale -,  l’espansione urbanistica e le opere idrauliche realizzate non sono state attuate secondo una corretta pianificazione geologica, elemento ancora mancante o fortemente carente nella cultura e nei tavoli decisionali.

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Questa situazione di fragilità era comunque ben nota e infatti sono stati proposti dalla Regione progetti di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico da finanziarsi con il Recovery Fund, all’interno del “Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo (ReNDiS)”.

Sono interventi di mitigazione del rischio idrogeologico proposti dalla Regione Sardegna, suddivisi in “Interventi fondo progettazione”, “Interventi ReNDiS cantierabili 12 mesi”, e “Interventi Transizione verde”, per un importo complessivo di circa di 193 milioni di euro, che riguardavano in particolare anche la Provincia di Nuoro e il comune di Bitti.

Purtroppo, come spesso accade, gli eventi precedono gli interventi. Nel contesto attuale risultano prioritari interventi di mitigazione del rischio accompagnati però da una corretta pianificazione atta a scongiurare l’incremento della pericolosità idrogeologica.

Sarà necessario vigilare e spingere – conclude Cadeddu –  affinché questi denari pubblici vengano spesi congruamente alla finalità indicata e senza andare invece ad aggravare l’assetto territoriale».

Geologi sul piede di guerra

Durissima la dichiarazione dell’ Ordine regionale dei Geologi della Sardegna . “Nonostante il susseguirsi di avvertimenti, si riscontra ancora la mancanza di una efficace politica di difesa del territorio, incentrata sulla prevenzione del dissesto, attuabile con interventi che abbiano, come finalità, la cura e la disciplina del territorio. Ancor oggi subiamo la conseguenza della mancanza di modelli idraulici tarati sul contesto geologico sardo, inoltre quelli comunemente applicati non contemplano, tra gli altri aspetti, il contributo del carico solido mobilitato e trasportato dalla corrente durante gli eventi di piena, aggravando notevolmente l’impatto della massa d’acqua in movimento. Questa è ancora una volta l’occasione per constatare quali sono le conseguenze dei lunghi tempi di approvazione dei progetti piuttosto che della realizzazione degli interventi, fino a quasi non vederne la conclusione entro tempi che non siano quelli delle ere geologiche. Al contempo però è necessario attenzionare affinché le semplificazioni normative non si limitino ad uno scavalcamento di passaggi progettuali e di verifiche che sono, invece, imprescindibili. È quindi oramai improcrastinabile rafforzare l’organico degli enti di controllo territoriale con specifiche figure tecniche, adeguate ad affrontare le problematiche del territorio sempre più pressanti.

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(Foto Vigili del Fuoco)

A causa della sempre maggiore ricorrenza ed intensità degli eventi meteorici, anche in quei contesti ove amministrazioni oculate si sono impegnate per programmare e ottenere finanziamenti per progetti per la difesa idrogeologica del territorio, le conseguenze si sono manifestate nella loro gravità. Questi ultimi eventi documentano, ancora una volta, un approccio per la difesa del territorio, inefficace se non addirittura lesivo. Quale altra dimostrazione di forza è necessaria per comprendere l’urgenza di un cambio radicale dei metodi?

È vero che non possiamo prescindere dai modelli, ma questi devono essere supportati da competenze specialistiche che muovendosi sul campo sanno leggere il territorio e cogliere i suoi segnali, comprendere le ripercussioni di un’opera edilizia, di una modificazione del territorio, piuttosto che di un’urbanizzazione, per non citare deforestazioni, incendi o arature in pendio. Tutti elementi che portano ad una esasperazione degli effetti di eventi che talora così estremi in effetti non sono, ma estremo è l’uso che si è fatto troppo spesso del territorio, aumentandone a dismisura l’esposizione al rischio idrogeologico. E la categoria dei geologi, che non sono cassandre, è da sempre al fianco delle istituzioni e a disposizione della società per dare il proprio contributo alla ricerca di soluzioni realisticamente praticabili”.

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