Alimentazione: quanto cibo buttiamo?

Giornata antispreco alimentare - Decalogo ENEA
Il decalogo antispreco alimentare proposto da ENEA

 Oltre 12 miliardi di euro di cibo ‘perso’ all’anno. La Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare del 5 febbraio è un’occasione annuale per confrontarsi con le cause e le conseguenze dello spreco alimentare. I consigli di ENEA e Centro Tutela Consumatori

 

Entro il 2030, lo spreco alimentare globale (pro capite) deve essere dimezzato, a livello di vendita al dettaglio e di consumo. Anche le perdite di cibo lungo la catena di produzione e fornitura devono essere ridotte. Questo è ciò che le Nazioni Unite prevedono nei loro 17 obiettivi globali di sviluppo sostenibile (SDGs– Sustainable Development Goals). L’obiettivo 12 riguarda i modelli di consumo e di produzione sostenibili, ed il punto 12.3 si riferisce alla riduzione dei rifiuti alimentari.

Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare per raggiungere questi  obiettivi: gli studi mostrano che sono necessari molti più sforzi di quelli fatti fino ad ora e lungo tutta la catena di approvvigionamento alimentare. A dirlo sono organismi scientifici e associazioni, tutti impegnati nell’accompagnare il consumatore verso un uso più responsabile del cibo.  Non a caso dal 2014 la Giornata di prevenzione dello spreco alimentare insiste sulle buone pratiche che possono salvare la nostra salute, il nostro portafoglio e soprattutto il Pianeta.

 ENEA e il decalogo antispreco

 Ogni anno, per restare solo in Italia, si sprecano oltre 5 milioni di tonnellate di cibo, circa 85 chilogrammi pro capite, pari al 15,4 % dei consumi alimentari totali con un costo di 12,6 miliardi di euro e oltre 24,5 milioni di tonnellate di carbonio emesse. È quanto sottolinea l’ENEA che, in occasione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare del 5 febbraio, pubblica 10 buone pratiche per ridurre lo spreco di cibo.

Al primo posto compare la cara vecchia ‘lista della spesa’, per evitare acquisti extra, al secondo il controllo della scadenza dei prodotti, pensando a quando utilizzarli. E ancora, scegliere prodotti che riportano informazioni su tecnologie o ingredienti che aiutano a limitare lo spreco alimentare e più attenzione al destino della confezione a ‘fine vita’ in modo da ridurre la quantità? di indifferenziata nell‘immondizia. Fra i suggerimenti anche l’acquisto di prodotti bio e l’inventare nuove pietanze utilizzando gli avanzi di cucina, con fantasia e creatività.

Da tempo ENEA punta alla promozione di modelli di produzione e consumo più circolari, che si è focalizzata sulla raccolta e lo studio di buone pratiche per promuovere l’economia circolare in Italia e rappresentare in Europa le specificità italiane in tale ambito.

“Lo spreco alimentare non ha solo un costo economico elevato, ma impatta sull’ambiente e le risorse naturali, sul benessere delle persone e sul loro sostentamento”, sottolinea Chiara Nobili della Divisione Biotecnologie e Agroindustria dell’ENEA. “Da qui l’importanza di individuare i fattori che determinano perdite e sprechi e le potenziali azioni strategiche di prevenzione e di contenimento nella fase post-vendita, per orientare il consumatore verso modelli di consumo più consapevoli. In questo contesto diviene sempre più importante perseguire obiettivi di prevenzione e riduzione dei rifiuti alimentari, agendo su tutto il sistema, con un approccio differenziato a seconda della connotazione specifica delle singole fasi”.

Secondo un rapporto recentemente pubblicato da ENEA , la prevenzione degli sprechi rappresenta il primo passo verso la transizione all’economia circolare specialmente nel settore agroalimentare dove lo spreco inizia in campo, cioè quando la produzione alimentare viene pianificata secondo parametri diversi dall’effettiva domanda di cibo (ad esempio secondo accordi contrattuali con i rivenditori) e finisce dopo l’ultimo piatto cucinato, poiché lo smaltimento dei rifiuti richiede un ulteriore spreco di risorse.

CTCU: uno studio dal regno Unito

Anche il Centro Tutela Consumatori Utenti scende in campo nel sostenere la battaglia contro gli sprechi alimentari, e presenta due studi.

Nello studio “Driven to Waste” (giugno 2021), il WWF del Regno Unito (WWF-UK) ha esaminato le perdite alimentari in agricoltura. L’organizzazione ambientalista stima che ogni anno 2,5 miliardi di tonnellate, ovvero circa il 40% del cibo prodotto a livello globale, vengono sprecate invece di essere mangiate e non finiscono mai nel piatto. Quasi la metà, circa 1,2 miliardi di tonnellate, risale all’agricoltura, cioè prima, durante e dopo il raccolto e prima della macellazione. Ad esempio, gli agricoltori spesso producono eccedenze per essere in grado di fornire al commercio una quantità sufficiente di “beni di qualità” visivamente impeccabili. Nel caso di un calo di prezzo per un prodotto, l’aratura è a volte più conveniente del raccolto per le aziende agricole.

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Come esempio ottimale di modelli di produzione e consumo più sostenibili viene presentata la dieta mediterranea – basata su cibo tradizionale di alta qualità, prodotto localmente e preparato il più fresco possibile

Per produrre la quantità di cibo che viene annualmente sprecata in agricoltura, viene occupata – inutilmente – una superficie di 4,4 milioni di chilometri quadrati. Questo è più dell’intera area dell’UE (circa 4,2 milioni di chilometri quadrati). Inoltre, secondo il WWF, dieci per cento di tutte le emissioni di gas serra sono riconducibili allo spreco globale di cibo. La conclusione del WWF: per ridurre lo spreco alimentare globale, l’intera catena di approvvigionamento alimentare, compresa la produzione agricola, deve essere ritenuta responsabile e ogni raccolto deve essere utilizzato in modo ottimale.

La dieta mediterranea ci salverà?

L’osservatorio italiano Waste Watcher ha condotto un’indagine internazionale (“Cross Country Report 2021“) sullo spreco e sulle abitudini alimentari delle famiglie. Ha intervistato 1.000 persone in ognuno degli otto paesi (Italia, Spagna, Germania, Regno Unito, Russia, USA, Canada, Cina). Una correlazione è stata trovata – non per la prima volta – tra la forza economica di un paese o l’indice di fiducia dei consumatori e la quantità di cibo sprecato. In un confronto tra paesi, lo spreco di cibo è più alto nelle famiglie statunitensi (1.403 grammi per persona a settimana), seguito dalle famiglie in Cina, Canada e Germania. Le famiglie italiane sono le migliori in confronto, con una media di 529 grammi per persona a settimana (27 chili per persona all’anno).

Verdure, frutta, insalata, pane fresco e confezionato, nonché latte e yogurt sono i rifiuti più frequenti. Le ragioni sono simili ovunque: si perde il quadro delle scorte alimentari, il cibo viene “dimenticato” o trascurato e si deteriora. Si compra troppo, si cucina troppo e non si usano gli avanzi. Almeno la maggioranza degli intervistati è consapevole che lo spreco alimentare è anche una questione etica, e che comporta un costo economico. Alcuni sono anche consapevoli che è uno spreco di risorse naturali ed un peso per l’ambiente.

La conclusione dello studio è molto interessante: una maggiore consapevolezza di un’alimentazione sana e rispettosa dell’ambiente porterebbe ad una riduzione dei rifiuti alimentari. Come esempio ottimale di modelli di produzione e consumo più sostenibili viene presentata proprio la dieta mediterranea – basata su cibo tradizionale di alta qualità, prodotto localmente e preparato il più fresco possibile.

I consigli dettagliati del Centro Tutela Consumatori Utenti su come evitare le eccedenze alimentari si possono trovare qui.

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