
Le imprese agro-alimentari adottano costantemente soluzioni innovative che possono riguardare i processi produttivi, tanto quanto i prodotti. Le differenze sono nella fonte di tale innovazioni. In agricoltura, per esempio, le innovazioni nascono prevalentemente nell’ambito delle grandi multinazionali dell’industria chimica, genetica o meccanica oppure nei grandi centri di ricerca: il caso più eclatante degli ultimi anni è la diffusione di organismi geneticamente modificati. Nell’industria alimentare, invece, l’innovazione ha più probabilità di essere prodotta all’interno delle aziende stesse, che sono chiaramente più grandi e strutturate delle aziende agricole.
Fondamentale, però, resta l’apporto dei centri di ricerca soprattutto per le piccole e medie imprese. E’ lo scenario di riferimento in cui opererà distretto tecnologico D.A.RE. di Foggia, nato all’interno del centro di ricerca interdipartimentale Bioagromed dell’Università di Foggia e ora braccio operatiovo del Distretto tecnologico Agro-alimentare pugliese . Parliamo dei nuovi scenari col suo direttore, prof. Gianluca Nardone, docente alla facoltà di agraria dell’Università degli studi della città dauna.
L’agro-alimentare è un settore che può adottare innovazioni di processo e prodotto. E’ possibile?
«Una premessa è d’obbligo. Si parla di agro-alimentare ma in realtà esistono differenze notevoli tra agricoltura ed industria alimentare. I due settori hanno alcune cose in comune ma sono molto differenti per altri aspetti. In particolare, sono accomunati dal fatto che il livello di innovazione non è spinto così come accade nei settori high-tech, sia perché comparti ormai maturi, sia perché esiste un’inerzia del consumatore, diffidente verso cambiamenti radicali nei prodotti alimentari».
Può illustrare il programma del distretto?
«Il Da.re. è il soggetto di governo del Distretto tecnologico Agro-alimentare pugliese. La missione è di porsi come soggetto cerniera tra l’industria alimentare pugliese e il mondo della ricerca, facilitando così i processi innovativi nell’intero sistema regionale. In sostanza, si può pensare a questo distretto come ad un broker dei processi innovativi teso a costruire rapporti di fiducia tra imprese e ricercatori colmando una distanza che da noi appare enorme, mentre altrove è stata già trasformata in un incredibile rapporto sinergico. Punto di partenza di questo progetto è nella stessa compagine sociale che comprende tutte le università pugliesi, i principali centri di ricerca pubblici e privati, ma anche (e in maniera paritetica) imprese di servizio e manifatturiere, banche, associazioni di categoria ed enti locali. La costruzione del rapporto fiduciario passa attraverso uno schema molto semplice: l’impresa avvia il processo indicando i propri bisogni ed obiettivi; il distretto individua tra i propri partner scientifici quelli che possiedono le competenze più adatte allo scopo e garantisce per essi; il partenariato che così si viene a formare elabora iniziative progettuali per reperire le risorse necessarie alle attività previste. Esperienze positive alimentano un clima di fiducia e quindi, in una specie di circolo virtuoso, ulteriori nuove collaborazioni».
Quali sono i progetti che intendete realizzare? Quali saranno i benefici?
«Nei suoi pochi anni di vita il nostro distretto ha già portato avanti una lunga serie di collaborazioni. Basti pensare che D.a.re. è una società consortile che non chiede alcun tipo di contributo ai propri soci e ciò nonostante può contare da 3 anni su un nutrito gruppo di collaboratori stabilmente impiegati. Offrire un adeguato compenso a 13 dipendenti vuol dire che i progetti sono presentati ed approvati. Ma l’aspetto più importante è ciò che i progetti stanno producendo in termini di nuovo sapere e competenze uniche utilizzabili dalle imprese pugliesi per competere sul mercato nazionale ed internazionale. Magari potremmo parlare dei singoli progetti di ricerca e sviluppo in un’altra intervista, ma voglio sottolineare un tema di stretta attualità. Per la prima volta il D.a.re. potrebbe sfruttare l’opportunità di gestire quei finanziamenti già erogati a tanti distretti tecnologici. A questo proposito, contrariamente all’attività autoreferenziale di altri Distretti, D.a.re. ha deciso di proporre una partecipazione a questi fondi non solo ai propri soci ma a tutte le imprese pugliesi che avessero qualcosa di interessante da dire. Si è quindi avviata una fase particolarmente dinamica che sta coinvolgendo da vicino un numero assai elevato di imprese e tutti i principali gruppi di ricerca pugliesi. Verranno selezionati quei progetti che daranno maggiori garanzie di un futuro utilizzo industriale oltre ad offrire la possibilità di cimentarsi con sfide tecnologiche di frontiera. D’accordo con gli interessi primari della Regione, i benefici ricercati sono, evidentemente, la realizzazione di innovazioni che possano dare maggiore competitività alle imprese regionali (e quindi più ricchezza e lavoro) e il rafforzamento dei nostri gruppi di ricerca nell’ambito del panorama nazionale ed internazionale».

Come immagina il futuro del settore?
«Immaginare il futuro è operazione assai ardua anche per chi lavora per l’innovazione, perché i percorsi e le traiettorie tecnologiche seguono itinerari non sempre prevedibili. Chi avrebbe potuto pensare, solo 20 anni fa che la società sarebbe mutata così radicalmente con l’affermarsi delle Ict? Qualcosa, però, si può ipotizzare. Nel comparto agricolo molto probabilmente si continueranno a perdere posti di lavoro e probabilmente anche terra coltivata. Il 2013 rappresenta uno spartiacque per la politica agricola comune e per la stessa sopravvivenza di un numero elevato di imprese. L’industria alimentare, peraltro, ha bisogno dell’agricoltura perché, per quanto si possa volere innovare, disporre di materia prima di qualità prodotta in loco rappresenta un punto fondamentale per la politica di qualità di molti prodotti alimentari. La delocalizzazione dell’industria alimentare presenta parametri di complessità che non si registrano in altri comparti dell’industria leggera e del made in Italy. Si può prevedere perciò che si giunga ad un livello di equilibrio in cui possa essere l’industria a richiedere l’esistenza del resto della filiera. Tanto più se la competitività dell’industria possa risultare rafforzato da rapporti sempre più stretti con le università ed i ricercatori della regione. Ormai è assodato: quello basato sulla conoscenza è l’unico vantaggio competitivo che possa essere difficilmente imitato e contestato dai propri competitors».